MIT: ogni 1.000 lavoratori, sei “saltano” per i robot

by redazione 0

Se sono a rischio i posti di lavoro soprattutto dei ‘colletti blu’, la nostra società non sta creando nuove occupazioni per questi profili professionali che pagano il prezzo del cambiamento necessario


L’automazione industriale si sta facendo largo in tutti i settori dell’industria manifatturiera, non senza effetti (seppur lievemente) negativi sull’occupazione. Infatti,  stando a uno studio pubblicato dal National Bureau of Economic Research del Mit di Boston, negli Usa dal 1990 in poi la sempre più massiva robotizzazione ha fatto calare l’occupazione e i salari medi.

Meno lavoratori e busta paga più leggera. Nello studio – condotto da Daron Acemoglu e Pascual Restrepo – i dati reali sono stati utilizzati per stimare, attraverso algoritmi, l’impatto provocato nell’industria manifatturiera dall’introduzione di robot nei processi lavorativi. La conclusione: per ogni robot introdotto ogni 1.000 lavoratori, si perdono fino a sei posti di lavoro, con conseguente riduzione dei salari dello 0,25/0,50%.

Quando il “pezzo di carta” è indispensabile. In totale nel periodo considerato sono stati persi 670mila posti di lavoro, solo in parte rimpiazzati, e l’effetto, precisano gli autori dello studio, è stato calcolato escludendo possibili fattori confondenti, come il boom delle importazioni da Cina e Messico o la delocalizzazione delle aziende. “Siamo stati sorpresi di vedere che alla perdita di lavoro nel settore manifatturiero ha corrisposto in realtà un aumento molto piccolo in altri tipi di lavoro – affermano Acemoglu e Restrepo al New York Times -. Questo potrebbe avvenire in futuro, ma per il momento ci sono molte persone che non lavorano, soprattutto ‘colletti blu’ uomini senza una laurea. Se hai lavorato a Detroit per 10 anni non hai la capacità di impiegarti nel settore salute – aggiungono – e il mercato non sta creando da solo dei nuovi lavori per questi lavoratori che fanno le spese del cambiamento”.

L’opinione di Trump. L’analisi, sottolineano gli stessi autori, contrasta con le affermazioni del neopresidente Donald Trump e del segretario al Tesoro Steven Mnuchin, che a più riprese hanno puntato il dito sulla delocalizzazione come principale causa della disoccupazione.

Una trasformazione necessaria. Tuttavia, nella corsa all’Industria 4.0  spiega l’ex Ministro della Ricerca Scientifica Maria Chiara Carrozza, Professore di Bioingegneria industriale e Deputato della Repubblica, intervenendo al Technology Forum– sarà cruciale il tema delle tecnologie abilitanti. “La Legge di Moore apparteneva alla terza rivoluzione industriale – commenta Carrozza -. Non possiamo miniaturizzare oltre la scala atomica; per generare un nuovo ciclo espansivo, occorre individuare una tecnologia che lo apra – e sulla quale il capitale si potrà nuovamente concentrare’.

E sul tema della tassazione sui robot lanciato da Bill Gates e della minaccia della riduzione dei posti di lavoro, Carrozza osserva: ‘La robotica applicata diventa sempre di più elettronica di consumo e questo sancirà l’ingresso reale della robotica nella società: è un processo che è già avvenuto nell’industria e dove l’Italia è in prima fila. Siamo un Paese produttore di robot e di macchine di precisione, ai massimi livelli, non dobbiamo diventare un Paese di semplici consumatori – coltivando un approccio autolesionista e antindustriale, come quello che alla base di una tassa sui robot’.  Il punto non sembra quindi essere quanti posti di lavoro si perderanno con i robot (pochi secondo la ricerca del MIT) ma quanti se ne perderanno senza i robot.