Meccanica & automazione n. 2 marzo
by ago 0
So di non sapere
di Chiara Tagliaferri
Perplessità, dubbio, incertezza…queste sono le reazioni che a volte si percepiscono quando si parla del lancio di un nuovo prodotto dichiarato più sostenibile. E vi confesso che, ben pensante di indole come sono, il dubbio si insinua sempre più spesso anche in me. Non tanto rivolto a mettere in discussione la buona fede di chi orgogliosamente dichiara lo sforzo e il perseguimento di una pratica sostenibile, ma piuttosto la pratica stessa. Quando dico ciò penso a tante delle nuove soluzioni adottate delle aziende negli ultimi anni. Siamo sicuri di sapere?
Se da un lato trovo assolutamente inconfutabile che la logica dell’usa e getta deve essere combattuta, non sempre mi convince quella del recupero o del riuso o quella dell’indubbio vantaggio dell’elettrificazione della mobilità, ad esempio.
Un collega ricercatore di LCA risponderebbe che faccio bene a dubitare, perché quasi tutto dipende dall’ impatto che un prodotto o un processo ha sul sistema circostante, ma che questo può e deve essere calcolato attentamente, prima di proclamare una scelta come sostenibile nelle sue diverse dimensioni. Ed infatti, figlia di questa perplessità, il parlamento europeo il 17 gennaio di quest’ anno, ha emesso una nuova direttiva molto più restrittiva del passato che cerca di combattere l’ormai noto fenomeno del green washing. Le aziende adesso, per usare determinate etichette come “carbon neutral”, devono dimostrare che lo è l’intero ciclo di vita del prodotto, con dati verificabili e “science based”. E qui inizia il vero dubbio e il fulcro del paradosso socratico, inteso come certezza di non conoscenza definitiva. Verificare con metodo scientifico vuol dire in primis avere consapevolezza e alte professionalità a disposizione, poi riuscire nell’ intento e infine, nel caso delle aziende, perseguire la scelta anche a costi elevati ed essere pronti a verificarla successivamente adottandone un ulteriore modifica. E quanti posso dire di avere a disposizione tutti questi elementi? Perché, per esempio, riuscire a fare un prodotto con materiale riciclato, non è detto che sia un vantaggio assoluto, lo diventa, solo se, è tutto il ciclo ad aver avuto un minore impatto e il successivo fine vita replicherà il processo virtuoso. Ma bisogna avere competenze e dati scientifici raccolti nel tempo per dimostrarlo. E ancora, quel dubbio che muove il desiderio di colmare l’ignoranza si amplifica dopo aver letto alcuni dei trend di sostenibilità del rapporto Cysco. Dalla COP28 di Dubai è stato lanciato l’appello a triplicare la produzione di energia da rinnovabili e si prevede che entro il 2050 il 25% della domanda arriverà dai veicoli elettrici. Energia rinnovabile ma quanta? e con quali infrastrutture? E ancora, come si sosterranno i server necessari per lo sviluppo dell’AI? Se siamo indietro nella transizione green & digital e sappiamo che la componente sostenibilità è quella lasciata più indietro, forse è anche perché è quella più difficile da dimostrare con effetti economici per chi la persegue pari a zero se non peggiori?
So di non sapere e continuo a cercare ma ho la consapevolezza che fare bene e far del bene per costruire un futuro sostenibile rappresenta una responsabilità condivisa che costa, in termini di impegno economico e partecipazione collettiva.
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