M&A aprile 2018

by redazione 0

EDITORIALE  – di Paolo Beducci

Dopo Industry 4.0 è ora di Formazione 4.0
Il successo del provvedimento legato agli investimenti in innovazione tecnologica secondo i canoni di Industry 4.0 dovrebbe far riflettere molto profondamente sul presente e soprattutto sul futuro del nostro Paese.
Perché se da una parte è vero che l’opportunità offerta alle  imprese che hanno scelto di investire è di quelle da non perdere (l’ormai mitico iper ammortamento) è altrettanto vero che se non ci fosse la voglia e il desiderio di fare impresa, di tali incentivi nessuno se ne farebbe
granché. L’iper ammortamento è stato solo il grimaldello per aprire la porta del futuro alle imprese italiane. Che di futuro hanno voglia e bisogno.

Come però spesso accade, anche in questo campo c’è il rischio che la realtà non sia uniforme.
Nello specifico che fra l’imprenditoria e la formazione non ci sia la sintonia necessaria. È noto a tutti che in Italia c’è una carenza drammatica di figure professionali che invece in altre nazioni
(vedi Germania) rappresentano la spina dorsale delle vita produttiva del Paese.
Il rischio è che la rivoluzione 4.0 sia in casa nostra una rivoluzione incompiuta. O per essere più precisi, non compiuta fino in fondo. Perché un cambiamento come quello in atto presuppone un mondo preparato a gestirlo in modo adeguato fin dalla formazione che necessariamente, deve essere al passo coi tempi.

Qui dobbiamo dire che come al solito nel nostro Paese esiste una frattura netta e verticale fra due mondi. In questo caso però non è la solita frattura nord sud. La crepa che si è aperta riguarda il mondo scolastico e la sua capacità di guidare gli studenti verso quelle che saranno le necessità della società. Perché qui troppo spesso si fraintende su un fatto. Si crede che alcune scuole siano più “nobili” di altre. E sappiamo che non è necessariamente così. E da qualche parte, si dice anche che formare diplomati significa tarpare le ali a giovani che  invece potrebbero aspirare a chissà cosa se solo percorressero una storia scolastica diversa.

L’equivoco è tutto qui. Si pensa che la formazione di tecnici sia una formazione di serie B e che serva a creare lavoratori ad uso e consumo delle aziende. Ma le aziende cosa sono se non una parte integrante (e importante) della società? Forse se si spiegasse che il bisogno di tecnici
non è una necessità di qualche imprenditore ma una pietra miliare su cui fondare il futuro della società forse le cose cambierebbero. Oltre tutto la formazione tecnica non impedisce alcun accesso universitario. Quindi a nessuno verrebbe impedito di iscriversi a ingegneria, filosofia, matematica o lingue moderne.

Crediamo sia giunto il momento di spiegare alle famiglie, ai genitori, alle scuola, ai politici che la formazione è una cosa seria e che inevitabilmente si deve adeguare alle evoluzioni della società. Altrimenti il rischio è che la società si strappi. L’ideale, a dire il vero, sarebbe che la scuola riuscisse a anticipare o a viaggiare di pari passo con i  cambiamenti sociali.

È venuto quindi il momento di rifondare la formazione facendone uno strumento sociale utile fino in fondo. Con la collaborazione di tutti. La scuola è l’Istituzione più riformata in Italia, ma i risultati non ci sono ancora. Eppure dove la questione è stata affrontata con serietà i risultati
sono venuti e anche in tempi veloci. Lo sapete che le imprese si contendono i ragazzi che escono dalle scuole tecniche serie? E che per loro la disoccupazione giovanile non esiste? C’è molto lavoro da fare in questa direzione e soprattutto è un lavoro complesso e delicato che deve coinvolgere tutta la società in cui viviamo. Perché è un problema che riguarda il futuro di tutti.