Meccanica&automazione n.5 settembre
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        Il senso della misura
di Chiara Tagliaferri
Sono mesi che si sente parlare del come l’Europa possa frenare ed invertire l’inesorabile ascesa dei principali competitori mondiali, recuperando competenze e primati produttivi al tempo della quarta rivoluzione industriale. Sicuramente sono state fatte scelte discutibili ma, come spesso accade tra ciò che si sa e la realtà c’è tanta distorsione e discrezionalità di interpretazione. Volendo utilizzare una similitudine figurativa con le tecniche metrologiche, il vero problema è che non si utilizzano eguali metodi di misura, episodicamente non se ne usano affatto e certe volte si perde proprio il “senso della misura”.
Ed ecco perché bisogna ripartire dal dato. Perché c’è un momento, nella storia di ogni tecnologia, in cui il dato smette di essere solo informazione e diventa potere. È il momento in cui la misurazione non è più un atto tecnico, ma un gesto politico. E oggi, con il Data Act che ridisegna i confini della proprietà e dell’accesso ai dati industriali, quel momento è arrivato.
La metrologia, disciplina antica quanto la civiltà, torna al centro del dibattito. Non come ancella silenziosa dell’ingegneria, ma come protagonista di una nuova narrazione: quella della fiducia digitale. Perché se il dato è il nuovo petrolio, la misura è il pozzo. E chi controlla il pozzo, controlla il flusso.
Nel mio lavoro ho imparato che nulla è più concreto del millimetro. Ma oggi quel millimetro non basta più. Serve sapere chi lo ha misurato, come, quando, e soprattutto perché.
Come è stato detto durante la giornata mondiale di metrologia “Il Data Act ci impone di ripensare il valore del dato: non solo come output, ma come bene condiviso, come diritto” E allora “la misura non è più solo precisione, ma responsabilità”. È il modo in cui un’azienda dimostra di essere affidabile, aperta, pronta a collaborare. È il linguaggio comune tra produttori, fornitori, clienti, e persino concorrenti. In questo scenario, la metrologia legale assume un ruolo nuovo. Non più solo certificazione, ma custodia del dato. Le macchine devono parlare, sì, ma devono farlo in modo onesto. E chi le ascolta – siano essi algoritmi, operatori o decisori – devono potersi fidare. La misura diventa così etica.
Mi piace pensare che stiamo entrando in una nuova era: quella della metrologia relazionale, dove il compito del tecnologo non è solo quello di ridurre le tolleranze, ma di costruire fiducia. Il Data Act ci chiede di essere trasparenti, accessibili, interoperabili, ma soprattutto ci chiede di essere consapevoli. Di sapere che dietro ogni cifra c’è una scelta, dietro ogni misura c’è una storia. E che solo conoscendo quella storia possiamo davvero innovare. Perché alla fine, misurare non è solo un modo per conoscere il mondo. È un modo per prenderci cura di esso.
E oggi, secondo me, con il Data Act che ridisegna i confini della proprietà e dell’accesso ai dati industriali, quel momento è arrivato. Ma come sempre bisogna studiare, e in quello noi europei abbiamo l’indiscusso primato.
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