N°3 Aprile 2015

by Redazione 0

A chi serve la ripresa

Sempre più spesso in questi primi mesi del 2015 si sente parlare di ripresa, di rivitalizzazione della produzione, di crescita. Termine questo tanto caro agli economisti, a chi ci governa e – aggiungiamo noi – dovrebbe esserlo anche per coloro i quali la mattina si alzano e vanno a bottega.

E pare proprio che sia così per molti, ma non per tutti. Negli ultimi decenni la capacità manifatturiera del Paese è stata fatta a pezzi e quasi del tutto annientata. Alcuni esempi: industria tessile, industria chimica, industria dell’energia, industria automobilistica. Queste sono solo le prime quattro che ci sono venute in mente, ma volendo approfondire il discorso, l’elenco è ancora lungo quanto si desideri.

A tenere alta la bandiera dell’industria italiana sono rimasti i marchi del lusso (quelli per intenderci dove i margini sono alti ma non si fanno i volumi), i costruttori di beni strumentali (pur fra milioni di difficoltà) e i subfornitori che vanno a rifornire quelle stesse industrie che solo trenta o quaranta anni fa potevamo permetterci di guardare dall’alto in basso.

Lasciamo da parte i marchi del lusso che non hanno un peso specifico elevato, che non sia quello di far da traino a prodotti. Sono ciò che un tempo si chiamava ‘specchietto per allodole’.

Restano i beni strumentali e i subfornitori. I beni strumentali, si battono con una concorrenza sempre più agguerrita in campo internazionale che, causa le dimensioni spesso troppo piccole, soprattutto sotto l’aspetto finanziario, delle nostre aziende, si traduce in margini sempre più ridotti e difficoltà oggettive a seguire i propri clienti ai quattro angoli del mondo conosciuto. Ci sono in tutto questo belle e importanti eccezioni, per fortuna.

I subfornitori infine: negli ultimi anni sono diminuiti di numero e cresciuti di qualità. Cosa quest’ultima, che non ha mai fatto loro difetto. Tanto che la quota di componenti provenienti dall’Italia che possiamo trovare su prodotti tanto decantati ‘made in tutto il mondo’, è costantemente in crescita.

Bene! Verrebbe da dire. E bene è sicuramente. Ma è un bene parziale. O se preferite utilizzare termini più popolari: non è tutto oro quel che luccica.

È positivo che i nostri costruttori di beni strumentali siano forti in tutto il mondo e che i nostri subfornitori abbiano un ruolo di primissimo piano nella fornitura di componenti di qualità all’industria globalizzata. Tutto ciò significa posti di lavoro, investimenti e quindi maggiore ricchezza di cui poter disporre. Però, qualche ‘se’ e qualche ‘ma’ c’è. Nel momento in cui la maggiore disponibilità di reddito si riverserà sui consumatori, il maggiore beneficio se ne andrà altrove. Perché i consumatori non comprano servosterzi o stampi. I consumatori comprano automobili e televisori. E in un prodotto venduto al pubblico, la fetta grande della redditività finisce in mano a chi lo pensa, lo assembla e lo vende con il proprio marchio.

La PMI ha tenuto e continua a tenere in piedi questo Paese, ma ora è giunto il momento che anche la grande industria torni a investire e a confrontarsi sui mercati, invece di proteggersi dietro delocalizzazioni e commodities. Paolo Beducci