N°2 Marzo 2015

by Redazione 0

In Italia è più difficile?

Spesso il caso mette davanti ai nostri occhi situazioni molto simili che hanno dato frutti molto differenti fra loro. In questo caso due vicende con molti punti di contatto fra loro. Che si sono però avviate verso epiloghi molto diversi.

Il punto di partenza, le intenzioni di chi ha messo in moto i due meccanismi era molto probabilmente il medesimo. Cercare di dare un futuro stabile alle proprie aziende, individuando realtà con cui iniziare un dialogo e quindi unire le realtà complementari o simili per ciò che concerne il prodotto, per dare loro una maggiore forza finanziaria, verso i fornitori, verso il mercato. Insomma dare vita al processo di aggregazione ormai ritenuto indispensabile in un mondo in cui la globalizzazione e lo spostamento dei mercati su scala mondiale in misura sempre più massiccia ha di colpo fatto invecchiare il concetto, tanto caro in casa nostra di ‘piccolo è bello’. A meno che non si operi in aree così di nicchia e così specializzate da poter pensare di dormire, ancora per un po’, sonni sereni. Qualche esempio in Italia (e non solo) c’è. Ma si tratta di eccezioni, non della norma.

Veniamo alle due vicende che ci hanno colpito per coincidenza di tempi di svolgimento. Entrambe le due vicende nascono alla fine degli anni ’10. Una ha sviluppo nazionale, l’altra respiro intercontinentale. La prima parte da Bologna, la seconda da Germania e Giappone.

Avrete già capito che stiamo parlando delle vicende del gruppo IMT e di DMG MORI.

Partiamo da casa nostra: è di poche settimane fa la decisione di porre il gruppo in amministrazione straordinaria. Ciò significa in genere che l’azienda pur essendo sostanzialmente sana, soffre di una crisi finanziaria che non le permette di onorare gli impegni presi fino in fondo. Da qui la richiesta destinata a ridare un assetto finanziario stabile da parte di un amministratore nominato da un ente terzo. L’azienda quindi non si ferma, ma procede per un po’ a ritmo condizionato, fino ad essere rimessa in sesto e poter riprendere il proprio cammino. È una vicenda che ci dispiace in modo particolare. Consociamo bene gli artefici di questo sogno e sappiamo quanto impegno che ci abbiano messo.

L’altra vicenda è l’annuncio dato più o meno in contemporanea con il diffondersi della notizie provenienti da Bologna della definitiva fusione fra DMG e MoriSeiki. Un passaggio che avverrà nelle prossime settimane con l’investimento di oltre 2 miliardi di euro da parte della società giapponese per l’acquisto dell’altra.

Il punto di non ritorno che si pensava attestato attorno al 2020, è arrivato con qualche anno di anticipo, quando le dimensioni, le politiche commerciali, tecniche e il controllo di una serie di dinamiche aziendali non erano più suddivisibili come è stato fino a oggi. Da qui la decisione di affidare a un solo partner l’intera società. Un segno di responsabilità e maturità non indifferente. Esattamente come era capitato quando i componenti delle singole realtà che andarono a formare IMT avevano deciso di fare.

Dove sta la differenza allora? Perché da una parte le cose riescono e dall’altra no? Eppure in entrambi i casi il desiderio era il medesimo e l’impegno non ha fatto difetto a nessuno. La differenza sta in tante piccole cose, prima fra tutte la capacità finanziaria di supportare un salto del genere.

Mori, per loro stessa dichiarazione, hanno attinto a prestiti per oltre due miliardi di € dalle banche. Da noi non sarebbe possibile. Il contesto finanziario italiano è molto diverso da quello giapponese o tedesco. Per curiosità, date uno sguardo ai tassi per il credito al consumo che comunque sono anch’essi uno specchio del Paese. Tutto ciò non significa che certe cose si possano fare solo all’estero. Solo che in Italia è molto, molto più faticoso. Paolo Beducci