M&A luglio 2019

by redazione 0

E se domani….

di Paolo Beducci 

Nella preparazione di questo numero che ha al centro dell’attenzione l’avvenimento fieristico dell’anno (EMO) ci siamo più volte trovati a ragionare di imprese nazionali e estere non solo per ciò che concerne la loro capacità d’investire e di stare sui mercati, ma anche e soprattutto sulle possibilità sul futuro che il nostro settore può garantirsi nei decenni a venire.

In molti casi il passaggio generazionale nelle imprese italiane sta avvenendo o è già avvenuto con una relativa tranquillità, anche se non mancano esempi piuttosto significativi di veri e propri scossoni che hanno portato le aziende a vivere momenti travagliati se non a finire in altre mani. 

Sono cose che capitano e fanno parte della legge darwiniana dell’imprenditoria mondiale. C’è chi sopravvive e chi no. E come insegna Darwin a sopravvivere non necessariamente sono i più bravi o i più forti, ma quelli capaci di adattarsi meglio.

C’è però un’altra parte di aziende italiane che si trovano al bivio generazionale e che non hanno necessariamente un seguito garantito. I casi sono molti più di quelli che si potrebbero immaginare, e riguardano aziende anche dai bilanci invidiabili. Realtà in cui i figli di un imprenditore hanno legittimamente scelto di seguire un’alta strada. Una propria vocazione che li ha portati lontani dalla via tracciata dai genitori. Ci sta, anzi credo sia la cose più logica che si possa immaginare. Conoscevo un ingegnere che davanti a due figli, uno ingegnere che seguiva l’azienda di famiglia e l’altro medico chirurgo, sosteneva di essere stato un padre migliore con il figlio medico: “Perché con lui – diceva – non ho riprodotto me stesso, segno che probabilmente l’ho lasciato più libero di seguire desideri e sogni.”

Per l’imprenditore che decide di passare la mano e non ha un seguito cui affidare il frutto del proprio lavoro le cose possono complicarsi e non poco: paradossalmente se l’azienda è florida questo passaggio diviene ancora più delicato. Per non contare poi che allontanarsi dalla propria realtà cui magari si è dedicata l’intera vita può essere davvero un trauma. 

Se proviamo a intrecciare questo ragionamento con un altro aspetto tipico delle realtà nazionali, la dimensione a volte troppo piccola e quindi “faticosa” per reggere  la concorrenza mondiale, fa emergere un aspetto che inevitabilmente diverrà centrale per diverse realtà: si deve trovare il modo di dare continuità a queste aziende, sfruttando l’esperienza, la bravura e le competenze (oltre che la passione, motore principe di tutto) di chi le aziende le ha create o rese floride. Cercando al tempo stesso di migliorarne le performance in campo finanziario, così da permettere una maggiore capacità di ricerca e sviluppo e una facilità di presenza capillare a livello globale, che da sole rischierebbero di faticare a mantenere. Metterle insieme per dare loro un futuro, senza però far perdere l’identità che è senza dubbio uno dei grandi pregi dell’imprenditoria meccanica nazionale.

IN QUESTO NUMERO:

Storia di copertina – Evolvere per restare leader

In fabbrica – La rullatrice 4.0

Speciale anteprima EMO 2019